La storia della Famiglia Capece
Lo storico Elio Marchese afferma che la famiglia Capece faceva parte del nucleo antico della nobiltà napoletana e che i Capece, essendo numerosi, aggiunsero ai vari rami altri cognomi: Aprano, Bozzuto, Galeota, Latro, Minutolo, Piscicelli, Scondito, Tomacelli, adottando una varietà di insegne araldiche.
Per Scipione Ammirato le predette Case appaiono nobilissime e antichissime, ognuna indipendente l’una dall’altra.
Di certo i Capece all’interno del Seggio di Capuana rappresentavano un gruppo unito, che divideva gli onori e gli uffici insieme ai Caracciolo e alle famiglie più recenti aggiunte nella piazza.
Si innamorarono di Don Filippo Capace, appartenente alla potente famiglia del seggio di Nido, le figlie del barone Toraldo: Donna Regina, Donna Albina e Donna Romita, orfane nel 1320.
Un antico documento del Cinquecento “Chronica de la Nobiltà della Piazza Capuana di Napoli” rappresenta i Capece, “nobili homini di sangue gentile”, come la prima Casa nobile del Seggio di Capuana, elencando separatamente la consistenza in “cavalieri” delle case Latro, Aprano, Zurlo, Piscicelli, Galeota, Scondito, senza alludere ad alcun vincolo di parentela.
Il 1° gennaio 1584 fu istituito il Monte dei Capece e condizione indispensabile per aderire ad esso e goderne dei benefici era l’adozione del doppio cognome e inquartare la propria arma con quella dei Capece, ossia un leone d’oro in campo nero.
Lo statuto fu modificato l’8 maggio 1591 da 23 cavalieri di casa Capece che si riunirono nella dimora di Federico Capece Tomacelli.
Il Monte dei Capece assicurava alle fanciulle una cospicua dote in caso di matrimonio o una sostanziosa rendita nel caso non trovassero marito; ai cadetti si garantiva, oltre alla rendita, lo studio, l’arte delle armi e “l’accompagnamento” verso una carriera militare, civile o ecclesiastica.
Il primo rappresentante che si incontra negli scritti è MARINO Capece di Sorrento, contestabile ai tempi dell’imperatore Alessio Commeno (1081-1118).
La famiglia godette di grande nobiltà ai tempi degli Svevi ricoprendo le più importarti cariche.
ANFRIGO fu uno dei cavalieri napoletani che nel 1130 presenziarono all’incoronazione di re Ruggiero II il Normanno.
ARRIGO e PIETRO furono contestabili sotto i re Ruggiero I e Guglielmo I detto il Malo.
GIACOMO fu Gran Siniscalco dell’imperatore Federico II di Svevia.
BERARDO fu giustiziere ed ENRICO vicerè di re Manfredi.
CORRADO († Napoli, 1270), patrizio del Seggio di Nido, parteggiò per Manfredi e Corradino di Svevia.
Il Casato possedette molti feudi tra cui Atripalda, S. Martino, S. Angelo, Pantanella, S. Mango, San Giovanni a Teduccio, ecc.
Fu insignito di numerosi titoli tra cui:
principe di: Monteacuto (1638)
duca di: Rodi (1623)
marchese di: Bugnaturo (1622), Pontelatrone (1635), Rofrano.
I Capece ascritti al Patriziato napoletano del Seggio di Nido ricoprirono le più prestigiose cariche in campo militare, civile ed ecclesiastico.
Ebbero molti feudi nel tenimento di Aversa, oltre Morciano, Casapesenna, Collelungo, ecc. e furono baroni di Siano e Roccagloriosa; quest’ultimo feudo fu acquistato da POMPEO Capece nel 1529 dalla famiglia Carafa e poi fu venduto a Matteo d’Afflitto.
CORRADO († 1482) fu governatore e arcivescovo di Benevento.
ANTONIO, dottore in legge, fu inviato dall’imperatore Carlo V d’Asburgo-Austria in Sicilia per riformare di Tribunali.
SCIPIONE († 1551), Signore di San Giovanni a Teduccio (NA), umanista e giureconsulto napoletano, fu presidente dell’Accademia Pontaniana; scrisse molte opere tra cui “De principiis rerum” nel 1546.
Pompeo d’Anna, figlio primogenito di D. Francesco barone di Laviano e Duca di Castelgrandine, nel 1694 fu ucciso, a seguito di una futile disputa, nel Teatro di San Bartolomeo, alla presenza del Vicerè Santesteban, da GIUSEPPE Capece, fratello del marchese di Rofrano e dal cugino Bartolomeo Ceva Grimaldi, duca di Telese, i quali riuscirono, al momento, a fuggire. Il delitto fu particolarmente grave, “lesae maestatis” in quanto avvenuto in presenza del vicerè, e i rei furono perseguiti con determinazione, al duca di Telese furono sequestrati i beni feudali e quindi i due furono catturati e incarcerati. Evasi di prigione, furono poi tra i cospiratori della famosa congiura del Principe di Macchia contro Filippo V, succeduto a Carlo II nel 1700 al trono di Napoli, finendo il Capece fuggiasco ucciso dagli archibugieri del vicerè e la sua testa affissa a un torrione del Castel Nuovo.
Articolo tratto dal sito www.nobili-napoletani-it